Alberto Petrucciani - Open Access
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Il 10 settembre scorso Alberto Petrucciani è morto a Roma, dove era nato il 22 gennaio 1956.
Era il decano dei docenti di Bibliografia e Biblioteconomia, impegnato su più fronti dell’attività professionale, didattica e scientifica. L’intera comunità bibliotecaria italiana è stata profondamente colpita della notizia della sua scomparsa: ne sono testimonianza i tanti messaggi inviati da colleghi, allievi e amici di ambienti diversi sulla lista di discussione AIB-CUR e su quella della Società Italiana di Scienze Bibliografiche e Biblioteconomiche, che Petrucciani aveva contribuito a fondare e di cui era stato presidente dal 2013 al 2018.
Dopo essersi laureato in Lettere all’Università degli studi di Roma Sapienza e dopo avervi conseguito anche il diploma di bibliotecario alla Scuola speciale per archivisti e bibliotecari, aveva iniziato la sua attività lavorativa a Genova nel 1982, prima come aiuto-bibliotecario presso la Biblioteca giuridica dell’Ateneo genovese e poi dal 1985 come bibliotecario presso la Biblioteca universitaria statale. Pur essendo passato presto all’insegnamento universitario – Alberto era diventato professore ordinario a trent’anni nel 1986 e ha insegnato a Bari (1986-1993), a Pisa (1993-2009) e dal 2009 alla Sapienza – il legame con la comunità professionale non si era mai allentato: la sua lunga militanza all’interno dell’associazione professionale è stato ricordato dall’intenso comunicato emesso dalla presidente nazionale dell’AIB Laura Ballestra il giorno della sua scomparsa.
Particolarmente fitta e impegnativa la sua presenza nelle riviste professionali, a partire da “Vedi anche”, il foglio della sezione ligure dell’associazione, fino alla sua partecipazione ai comitati scientifici o editoriali di “Biblioteche oggi” e “Biblioteche oggi Trends”, e “Jlis. it”. Ma il segno più tangibile è legato alla direzione del “Bollettino AIB”, che lo impegnò per quasi un decennio: nel 1992 ne assunse la responsabilità, trasformando radicalmente la testata e facendola diventare una rivista scientifica di altissima qualità e curandone in modo meticoloso la produzione in tutti i suoi aspetti. Diede alla rivista un taglio particolare, e inedito nel panorama italiano, combinando l’approfondimento e la riflessione teorica alla pratica professionale.
Dal 2013 Petrucciani era anche direttore dei “Nuovi annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari”.
Ci saranno altre occasioni per ricordare più compiutamente il contributo fornito in vari ambiti degli studi biblioteconomici, a partire dalle teorie e dalle tecniche della catalogazione e dell’indicizzazione, di cui va segnalato almeno la partecipazione, da protagonista, ai lavori della Commissione ministeriale per la revisione delle Regole italiane di catalogazione e poi il coordinamento della Commissione per il mantenimento, l’aggiornamento e la diffusione delle REICAT.
Ma dove il suo apporto è stato più incisivo e di maggior respiro, a mio avviso, è nel campo della storia delle biblioteche. Prima che Alberto Petrucciani cominciasse a occuparsene, la tradizione storiografica sulle biblioteche aveva privilegiato in Italia le vicende relative alla nascita di questi istituti, alle personalità che hanno dato loro un imprinting, alla provenienza e alla stratificazione delle collezioni, fornendo a volte contributi importanti alla storia delle idee e delle istituzioni culturali, ma dicendoci molto poco sulla vita quotidiana delle biblioteche. Senza disconoscere la validità di questi studi precedenti, va detto che i suoi lavori hanno rappresentato un punto di svolta. La prospettiva che Petrucciani ha sviluppato ‒ coltivando studi rigorosi e attenti, ma che sfuggivano alla tentazione erudita ‒ è quella di una storia del servizio bibliotecario, comprendente anche le persone che popolano le biblioteche, e quindi una storia della professione bibliotecaria e una storia dell’uso, ricostruita anche con l’aiuto delle testimonianze degli utenti, una storia interna, raccontata attraverso i documenti che registrano “ciò che nelle biblioteche realmente avveniva, come, da parte di chi, ecc.”. Molti suoi lavori (penso a quelli raccolti nel volume Libri e libertà) sono accomunati dal desiderio di valorizzare la dimensione “civile” che biblioteche e bibliotecari hanno esercitato in momenti cruciali della storia del nostro Paese, come il Risorgimento e l’unificazione nazionale, la lotta antifascista, la costruzione dell’Italia repubblicana. I frutti più maturi di questo filone di studi e anche della capacità di raccogliere tanti collaboratori in un gruppo di lavoro ampio è emerso durante il convegno What happened in the library?, tenutosi alla Sapienza nel settembre del 2018, che propose un’ampia rassegna di casi, anche a livello internazionale, sulla frequentazione delle biblioteche, offrendo motivi di riflessione per analizzare l’uso degli istituti bibliotecari, le motivazioni degli utenti, cosa essi facevano e come lo facevano, la percezione che essi hanno registrato dell’esperienza vissuta, i giudizi di valore espressi a proposito dell’offerta allestita dalle biblioteche e del loro stile di servizio.
L’applicabilità dei risultati di queste ricerche alla comprensione dell’azione sociale esercitata dalle biblioteche costituisce un valore aggiunto di primissima rilevanza. In questo senso, non si è trattato solo di scrivere la storia delle biblioteche in modo diverso, ma di studiare e interpretare le biblioteche nella loro interezza e nel loro contesto, contribuendo alla storia della trasmissione delle conoscenze, e mettendo al centro le persone, si trattasse di bibliotecari o di utenti.
In questi filone di ricerca si inseriscono anche la cura che Petrucciani ha dedicato all’archivio e alla biblioteca dell’AIB e l’attenzione alla ricostruzione della storia dell’associazione e alle biografie dei più eminenti bibliotecari italiani.
Era questo il suo modo per dare robustezza ai valori fondanti e alla pratica quotidiana della professione e per sentirsi parte di una comunità, contribuendo a tenerla unita anche coltivandone la memoria storica. Nell’arco di quattro decenni, come già ricordato, l’impegno nell’AIB era stato ininterrotto e si era manifestato in vari modi: si è detto della direzione del “Bollettino”; per due volte aveva ricoperto l’incarico di vicepresidente nazionale e aveva presieduto il collegio dei probiviri; a lungo aveva avuto, anche condividendola con altri, la responsabilità scientifica della produzione editoriale. Erano tanti gli incarichi, a volte in apparenza oscuri, che aveva occupato, perché Alberto aveva il gusto delle piccole cose.
Questa fedeltà era stata premiata: al compimento del sessantacinquesimo anno d’età, l’AIB lo aveva festeggiato pubblicando una miscellanea di studi in suo onore. L’autorevolezza che tutti gli riconoscevano naturalmente – e di cui era consapevole – può in apparenza essere in contraddizione col fatto che non abbia mai assunto la presidenza dell’AIB, incarico a cui si era sottratto in più di una occasione, e non perché non si sentisse all’altezza del compito e forse neppure per la sua connaturata pigrizia. Se solo avesse dato la sua disponibilità, avrebbe avuto il consenso necessario per essere chiamato a quell’incarico, malgrado non tutti condividessero sempre le sue opinioni, né lui ha mai risparmiato di manifestare il suo dissenso, quando non era d’accordo su qualcosa, o quando – guardando oltre l’opinione dominante e vedendo cose che altri non vedevano – segnalava che le cose forse non stavano come pensava la maggioranza. Era proprio questa franchezza e la lucidità del suo sguardo critico che lo facevano essere un punto di riferimento, per cui spesso chiedevamo il conforto del suo parere. E per questo, probabilmente, ha preferito mantenere la sua autonomia di giudizio e non dover assumere posizioni di mediazione, per poter meglio esercitare il suo “sguardo laterale”.
Con la stessa autonomia aveva operato anche quando aveva fatto parte del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici del Ministero, nelle vesti di Presidente del Comitato tecnico-scientifico per le biblioteche e gli istituti culturali, o quando, in rappresentanza dei docenti del settore, si era dovuto confrontare con le società scientifiche dei settori affini e con l’amministrazione universitaria per discutere l’assetto delle nostre discipline e il loro impatto sul reclutamento dei bibliotecari.
Non si può chiudere questo breve ricordo senza un riferimento al modo in cui si rapportava agli allievi e in particolare ai dottorandi (a partire dal 2012 era stato quasi ininterrottamente coordinatore del Dottorato di ricerca in Scienze documentarie, linguistiche e letterarie). Con loro Alberto Petrucciani era sempre molto disponibile, premuroso, affettuoso, aprendosi più di quanto non facesse con altri, svelando un tratto del carattere che la sua natura in altre circostanze tendeva a nascondere.