N.1 2025 - Biblioteche oggi | Gennaio-Febbraio 2025

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Come le biblioteche italiane entrano in Europa

Giuseppe Vitiello

Senior Advisor Europe, Rete delle Reti, g.vitiello@retedellereti.org

Abstract

A differenza di molti altri Paesi europei, non esiste un'agenzia italiana incaricata di coordinare la politica estera delle biblioteche italiane. Di conseguenza, la diplomazia bibliotecaria italiana - le persone che rappresentano le biblioteche italiane a livello internazionale - non ha la possibilità di scambiare dati a livello nazionale, non ha una posizione concordata sui temi che riguardano la biblioteconomia internazionale e non ha una visione comune quando è necessario creare alleanze e coalizioni professionali. Primo: le disparità regionali. Le biblioteche italiane nel loro complesso sono meno sviluppate di quelle che operano in altri Paesi. Di conseguenza, qualsiasi politica bibliotecaria europea dovrebbe essere accompagnata da una strategia finanziaria, con l'Italia concentrata sui Fondi strutturali e di investimento europei - e non solo sui programmi educativi e culturali della Commissione europea (Erasmus+, Europa Creativa, ecc.). In secondo luogo, i bibliotecari italiani dovrebbero astenersi da un approccio “nomotetico” di parte, secondo il quale un'esperienza che ha avuto successo in un Paese o in una regione può essere automaticamente trasferita a un altro Paese o a un'altra regione. Perché una “buona” pratica diventi una “migliore” pratica, il successo è certamente un fattore critico. Tuttavia, i “requisiti di replicabilità”, “scalabilità” e “convenienza economica” sono fattori critici nella diffusione di una buona pratica. L'enfasi dovrebbe essere posta sulle biblioteche beneficiarie e sul modo in cui hanno trasformato/adattato le buone pratiche importate, piuttosto che sull'entità che le ha prodotte. In terzo luogo, secondo la Raccomandazione del Consiglio d'Europa sulla legislazione e le politiche bibliotecarie in Europa, l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è il nuovo quadro di riferimento per le operazioni delle biblioteche. Pertanto, ogni tema bibliotecario discusso, sia a livello nazionale che internazionale, dovrebbe essere collegato agli SDG pertinenti, al fine di collegare le politiche bibliotecarie con le politiche pubbliche locali e massimizzarne i risultati.

English abstract

Unlike many other European countries, there is no Italian agency in charge of coordinating the foreign policy of Italian libraries.  As a result, the Italian library diplomacy – people representing Italian libraries at international level – have no possibility of exchanging data at national level, no agreed stand on topics regarding international librarianship, and no common brief when there is a need to create professional alliances and coalitions.This article suggests three key strategic points around which the Italian library diplomacy should revolve. First, regional disparities. Italian libraries as a whole are less developed than libraries operating in other countries. As a result, any European library policy should come together with a financial strategy,with Italy being focused on the European Structural and Investment Funds - and not only on the educational and cultural programmes of the European Commission (Erasmus+, Creative Europe, etc.). Second, Italian librarians should refrain from a biased “nomothetic” approach, according to which an experience that has been successful in a country or a region can be automatically transferred to another country or region. For a “good” practice to become a “best” practice, success is certainly a critical factor. Nevertheless, “replicability requirements”, “scalability”,and “economic convenience” are critical factors in the diffusion of a good practice. Emphasis should be put on recipient libraries and the way they transformed / adapted the imported good practice, rather than on the entity producing the practice. Third, in accordance to the Council of Europe Recommendation on Library Legislation and Policies in Europe, the Agenda 2030 for sustainable development is the new framework for library operations. Therefore, each library topic that is discussed, both at national and international level, should be linked to relevant SDGs in order to link library policies with local public policies and to maximise their outcomes.

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Elementi di diplomazia bibliotecaria

Il 5 settembre 1946 i ministri degli Esteri di Italia e Austria, Alcide De Gasperi e Karl Gruber, firmarono a Parigi un accordo per la tutela della popolazione di lingua tedesca in Alto Adige. L’obiettivo di De Gasperi era quello di ristabilire la posizione dell’Italia nella comunità internazionale e di mitigare le conseguenze delle sanzioni imposte dal trattato di pace.

Per argomentare le posizioni italiane e cercare di ottenere concessioni favorevoli, De Gasperi richiese al personale diplomatico una raccolta accurata di dati sulle scuole e sul numero di scolari di lingua italiana e tedesca in quella regione: era fondamentale, infatti, dimostrare che l’Italia stava rispettando le minoranze linguistiche e non ne ledeva i diritti.

L’Italia, uscita sconfitta dalla guerra, come peraltro ne era uscita l’Austria, non aveva molte carte da giocare sui tavoli internazionali. Su una questione così spinosa, fu determinante il dominio dei dati locali e la puntigliosa ricostruzione dei fatti (Toscano, 1967).

Il compromesso raggiunto fu talmente riuscito che, settanta anni dopo, l’accordo firmato da De Gasperi e Gruber fu riesumato come un possibile esempio di risoluzione pacifica del conflitto nel Donbass tra Russia e Ucraina, sia nella crisi del 2014 che nei giorni precedenti l’apertura delle ostilità nel 2022 (Sansoni, 2015 e ANSA, 2022).

L’analisi

Questo episodio, tratto dalla storia diplomatica italiana, mostra la rilevanza di due fattori decisivi sui tavoli negoziali internazionali. Il primo fattore è l’autorevolezza e la forza dell’interlocuzione unica (in quel momento storico, l’Italia politica si riconosceva in De Gasperi e nelle sue capacità di dialogo con le potenze vittoriose).

Il secondo fattore è la scrupolosa raccolta di informazioni sulle questioni chiave su cui poggia l’interesse nazionale. Un assunto di tale portata vale sia per le questioni globali legate al mantenimento della pace, sia anche per minute politiche settoriali, come sono appunto quelle di pertinenza bibliotecaria.

Allo stadio attuale, il futuro delle biblioteche europee è affidato a due documenti politici. Il primo è in corso di definizione ed è la politica bibliotecaria stilata dal Gruppo OMC (Open Method of Coordination) del Consiglio dell’Unione europea (Consiglio dell’Unione europea, 2022). Nel quadro del programma "Gettare ponti: rafforzare i molteplici ruoli delle biblioteche quali porte di accesso e diffusori di opere culturali, competenze e valori europei", il Gruppo OMC elaborerà un rapporto che sarà presentato nel 2026 nel corso di una conferenza europea.

Il secondo documento è la Raccomandazione del Consiglio d’Europa sulla legislazione e la politica bibliotecaria in Europa (Council of Europe, 2023; tr.it Consiglio d’Europa, 2024), e al seguito che si intende assicurare a tale documento (ricordiamo che Consiglio dell’Unione europea e Consiglio d’Europa sono due organizzazioni internazionali differenti) (si veda anche Vitiello, 2024a).

Se la comunità bibliotecaria italiana vuole affacciarsi con successo sui tavoli negoziali europei, è necessario non solo che sia capace di raccordarsi con gli attori che condividono i suoi interessi, ma anche che abbia una perfetta conoscenza dei dati nazionali su cui fondare una strategia europea credibile. È necessario insomma che la diplomazia bibliotecaria italiana:

A. abbia chiara coscienza degli orientamenti nelle diverse realtà del nostro paese, al fine di influenzare le agende internazionali e convogliarle verso tematiche vicine agli interessi che emergono dalle regioni e province italiane;

B. partecipi alla nascita redazionale dei documenti professionali internazionali elaborati in seno a reti di condivisione di conoscenze e risorse, come quelle dell’IFLA (International Federation of Library Associations and Institutions) e di EBLIDA (European Bureau of Library, Information and Documentation Associations), dettandone l’impianto e la struttura, e non limitandosi unicamente a commentarli e distribuirli;

C. conosca in modo approfondito le priorità delle politiche pubbliche locali, non solo bibliotecarie, partecipando così con oculatezza alle iniziative di carattere europeo e ai progetti utili all’avanzamento delle biblioteche italiane in ogni regione.

Se queste sono le premesse, per quale ragione dovrebbero esserci interessi contrastanti tra le biblioteche dei diversi paesi e divergenze tra comunità bibliotecarie su documenti che, in fondo, riflettono unicamente posizioni professionali? Su che cosa potrebbero crearsi disparità, o addirittura rivalità, tra le rispettive visioni nazionali?

Vorrei fornire tre esempi di mancato rispecchiamento degli interessi italiani in sede europea. Il primo è il Manifesto for the 2024 EU Elections. Libraries for a Sustainable Future, pubblicato in occasione delle elezioni europee 2024, firmato da IFLA, EBLIDA, Public Libraries 2030, LIBER e NAPLE Forum, e tradotto in una ventina di lingue europee, tra cui l’italiano (EBLIDA – PL2030 – IFLA – LIBER – NAPLE, 2024; tr. it AIB, 2024). Tale Manifesto sottolinea l’importanza delle biblioteche pubbliche come pilastri della democrazia, della cultura e dell’informazione libera in Europa e si rivolge ai futuri parlamentari europei, invitandoli a riconoscere le biblioteche come istituzioni essenziali per promuovere l’alfabetizzazione, il pensiero critico e la coesione sociale. Il Manifesto chiede inoltre maggiore sostegno finanziario e supporto normativo per modernizzare le biblioteche e migliorare l’accesso ai contenuti digitali, enfatizzando il loro ruolo nella lotta alla disinformazione e nella promozione della sostenibilità. Un’Europa che investe nelle biblioteche è infatti capace di formare una società più inclusiva, informata e resiliente.

Si tratta di obiettivi facilmente condivisibili, pienamente fondati e professionalmente universali. Il diavolo è però nel dettaglio. Nel Manifesto si esorta infatti l’Unione Europea a “dedicare linee di finanziamento nei programmi dell’UE per l’istruzione e la cultura a progetti che coinvolgano le biblioteche”. Agli occhi di un parlamentare europeo, i programmi dell’UE per l’istruzione e la cultura coincidono inevitabilmente con quelli promossi dall’EECEA (European Education and Culture Executive Agency): Erasmus+, Creative Europe e CERV (Citizens, Equality, Rights and Values).

Non c’è dubbio che i programmi EECEA siano rilevanti per le biblioteche (soprattutto Erasmus+) e regolarmente utilizzati. Tuttavia, in Italia, e non solo nel nostro paese, la maggior parte delle risorse europee destinate alle attività bibliotecarie provengono dai Fondi strutturali e di investimento (cui si affiancano i Fondi PNRR). Tali finanziamenti sono di entità assai più cospicua di quelli direttamente finanziati dalla Commissione europea, al punto che in solo tre paesi – Estonia, Italia e Polonia – l’investimento del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (uno dei Fondi FSIE) nelle biblioteche è stato di 281,8 milioni di euro in 14 anni (due cicli di programmazione) (Rete delle Reti – Biblioteka Narodowa, 2024). Tali finanziamenti salgono a circa 546 milioni di euro, se si aggiungono i progetti italiani di costruzione e/o riqualificazione degli spazi bibliotecari di Milano, Torino e Roma finanziati grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Parise, 2024). Mezzo miliardo di euro sono circa la metà e un quinto dei fondi destinati, rispettivamente, ai programmi CERV e Creative Europe in sette anni per l’insieme delle istituzioni culturali e sociali di 27 paesi europei (Rete delle Reti – Biblioteka Narodowa, 2024). Inoltre, i Fondi strutturali sono maggiormente e più profondamente rilevanti per le biblioteche perché, come dice la stessa parola, intervengono sul loro sviluppo strutturale, finanziandone lo sviluppo complessivo e infrastrutturale, senza il quale l’esercizio progettuale è impossibile o improduttivo.

Il secondo esempio riguarda quella che è qualificabile forse come l’attività bibliotecaria italiana di maggiore fascino: il programma Nati per leggere, sviluppato congiuntamente da Associazione Culturale Pediatri, Associazione Italiana Biblioteche e Centro per la Salute del Bambino (Nati per leggere, 2024). In questo programma, la pratica di lettura penetra, alla lettera, nelle viscere dei processi cognitivi del nascituro e si prolunga nei primi anni di vita infantile attraverso le letture offerte da volontari. Nati per leggere – progetto noto internazionalmente come Born to Read – è capillarmente diffuso nelle venti regioni italiane ed è l’unico progetto nazionale bibliotecario inserito nella base di risorse utili all’iniziativa europea Cultura per la Salute (Culture for Health; l’altro progetto bibliotecario selezionato - Leggere fa bene alla Salute - è di carattere locale) (Culture for Health, 2024). Questa base di risorse, finanziata dalla Commissione europea, serve al lavoro di Culture and Health, un gruppo OMC del Consiglio dell’Unione europea inserito nello stesso Work Plan for Culture 2023-2026 in cui opera il Gruppo OMC per le Biblioteche (Consiglio dell’Unione europea, 2022). Nonostante la sua importanza, tuttavia, Nati per leggere travalica a stento le Alpi per notorietà e la sua area di influenza si ferma già tra le anse del fiume Danubio. Nel mondo anglosassone e nell’Europa continentale molto più diffuso e di ampia applicazione è, infatti, il programma Bookstart, che riguarda la consegna di un set di libri, risorse e attività atte a favorire lo sviluppo del bambino (in Gran Bretagna, ad esempio – Booktrust, 2024). Nel panorama europeo, Nati per leggere rimane quindi un’attività di secondo piano come best practice per bambini, non certo perché qualitativamente di minore impatto, ma forse perché non abbastanza e incisivamente sostenuta dalla diplomazia bibliotecaria italiana.

Il terzo esempio, infine, riguarda l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Chi frequenta gli ambienti SDGs sa che il generico rimando alla sostenibilità non basta per definire un’azione orientata verso i Sustainable Development Goals dell’Agenda 2030. Un obiettivo bibliotecario va rapportato all’SDG di riferimento (uno tra i 17 SDG), ad almeno uno dei 169 sotto-obiettivi (targets); soprattutto, il suo impatto va calcolato in base agli indicatori messi a punto dalla Commissione europea per misurare l’avanzamento dell’Agenda 2030. Ora, i temi su cui sta attualmente lavorando il Gruppo OMC del Consiglio dell’Unione europea - lettura, anche digitale; apprendimento lungo l’arco della vita; libertà di espressione e partecipazione democratica; trasformazioni tecnologiche ed economiche; sviluppo rurale e rigenerazione urbana; benessere e salute; coesione sociale; cultura – accennano solo genericamente all’Agenda 2030, senza creare connessioni specifiche. Lo stesso fa, peraltro, il Manifesto for the 2024 EU Elections.

In Italia, gli SDGs sono strumentali a inserire le biblioteche in contesti di maggiore varietà rispetto agli ambiti strettamente culturali, favorendo sinergie tra attori sociali e gente della cultura. In questo modo, le biblioteche accentuano la dimensione sociale di istituzioni al servizio della comunità locale e si diversificano rispetto alla missione tradizionale di meri anelli lungo la catena del valore dell’industria editoriale. Anche per fini politici, e non solo economici, la comunità bibliotecaria italiana avrebbe quindi tutto l’interesse ad agganciare il Rapporto finale OMC, ed ogni altro atto di rilevanza internazionale, agli SDGs.

La produzione dei documenti delle organizzazioni professionali bibliotecarie europee ha origine normalmente all’interno di un circolo limitato di estensori che, anche per maggiore competenza linguistica, è posizionata geograficamente nell’Europa del Nord. Geneticamente, strutturalmente, direi per default, tali documenti servono gli interessi delle biblioteche di quei paesi. La mancata menzione dei Fondi strutturali, la maggiore popolarità delle iniziative per bambini originate nel mondo anglosassone, nonché l’omissione specifica degli SDGs in relazione ai temi bibliotecari trattati sono “sviste” facilmente riconducibili all’estrazione culturale e professionale dei soggetti estensori dei documenti. I Fondi strutturali, ad esempio, sono risorse ampiamente utilizzate nei paesi dell’Europa meridionale e orientale e per niente nei paesi dell’Europa del Nord. È logico quindi che, nella visione bibliotecaria di quei paesi, le linee di finanziamento vadano ricercate nei programmi promossi dai Ministeri o dai dipartimenti regionali e municipali che si occupano di istruzione e cultura. Le grandi biblioteche del Nord dell’Europa (Dokk1, Oodi, Oslo, Amsterdam), ad esempio, sono state realizzate quasi unicamente con risorse di origine locale. Per converso, il mezzo miliardo di euro che è stato investito nei progetti di BEIC, della nuova Biblioteca civica di Torino, di Biblioteca Malatestiana di Cesena, per non parlare dello stupefacente sviluppo delle biblioteche pugliesi, difficilmente sarebbe stato messo a disposizione del settore al di fuori delle risorse strutturali del FESR o del PNRR.

Lo stesso dicasi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. La Raccomandazione del Consiglio d’Europa sulla legislazione e la politica bibliotecaria in Europa ha individuato nell’Agenda 2030 il quadro di riferimento in cui operano le biblioteche, sostituendolo alle politiche del libro e dell’informazione.

Le proposte

Quali sono quindi le istanze che le organizzazioni bibliotecarie italiane dovrebbero portare avanti in sede europea, quali i temi, le esperienze, o gli approcci utili a rispecchiare la realtà italiana?

In linea di massima, la diplomazia bibliotecaria italiana si concentra su temi specifici, quali gli SDGs, la partecipazione democratica in biblioteca, l’open access, la digital literacy nelle biblioteche pubbliche e universitarie, per i quali è richiesta una competenza specifica.

Esistono tuttavia dei temi trasversali, degli approcci di fondo che possano fare da collante alle posizioni italiane sui temi specifici, offrendo un sostrato orizzontale a dati, professionalità e strumenti diplomatici in modo da massimizzare l’impatto dell’apporto italiano sulle decisioni internazionali. Quale può essere la metodica utile a impedire che sui tavoli negoziali internazionali prevalgano i bisogni di comunità bibliotecarie lontane dalle esigenze prioritarie presenti nelle biblioteche del nostro paese?

Sono tre gli aspetti trasversali su cui dovrebbe riposare l’agenda bibliotecaria italiana a livello internazionale, quale che sia la tematica specifica oggetto di negoziato. Il primo di essi riguarda le forti disparità di sviluppo intra- e interstatali. A livello più generale, circoscritto all’Europa, è stato dimostrato che le disparità bibliotecarie tra i paesi del Nord e del Sud-Est sono molto più significative delle equivalenti differenze in prodotto interno lordo e in spesa culturale. Il gap fra i paesi che spendono di più in cultura e quelli che spendono di meno si attesta su una ratio 1/2-2.5 (alcuni paesi, cioè, spendono il doppio, o poco più del doppio, di altri); in ambito bibliotecario, invece, tale disparità è dell’ordine di 1 a 6. In altri termini, Portogallo e Spagna – con un PIL e una spesa in cultura pari a poco più della metà di Finlandia, Svezia, Danimarca, Paesi Bassi – spendono per le biblioteche solo un quinto o un sesto di quanto fanno i paesi nordici (Vitiello 2024b); la spesa per acquisizioni di materiale librario e digitale di Portogallo e Spagna è, rispettivamente, 1/32 e 1/12 della spesa di Finlandia (Vitiello 2024c).

Per quanto riguarda l’Italia, è impossibile misurare l’entità di tali disparità, giacché solo alcune regioni italiane raccolgono dati finanziari riguardanti la spesa bibliotecaria (senza peraltro pubblicarli). L’evidenza empirica, tuttavia, suggerisce disparità di tenore simile, sia tra Italia del Nord e Italia del Sud, sia tra Italia e il resto dell’Europa (ISTAT, 2024). È quindi verosimile che il nostro paese si collochi nella fascia dei paesi in ritardo, come testimonia peraltro il numero di prestiti digitali per abitante, che in Italia è 1/10 di quello della Norvegia e 1/50 di quello della Danimarca (EBLIDA, 2022). Calcolare le disparità regionali non è solo un affare statistico, ma impatta sull’identificazione delle buone politiche europee, che vanno ritagliate e rimodulate in funzione anche della scarsità di risorse di alcuni paesi, secondo una scala di interventi variata e modulabile.

Tradotto in termini negoziali – ed è questo il secondo approccio trasversale – l’accento posto sulle disparità regionali richiede l’identificazione di un paradigma generale a partire dal quale procedere alla selezione delle migliori pratiche bibliotecarie. I rappresentanti italiani dovrebbero resistere alla tentazione “nomotetica”, secondo cui un’esperienza di successo in un paese è valida in ogni circostanza e area geografica, quali che siano i modi e il tempo di realizzazione. Perché una “buona” pratica diventi “migliore” occorre non solo che essa abbia successo, ma che sia “riproducibile”, “scalabile” e “conveniente”. Se una buona pratica è difficilmente esportabile, non è perché la professione bibliotecaria oppone resistenza, ma molto probabilmente perché i paesi che intendono recepirla o non hanno risorse, o perché è stata sbagliata la strategia di esportazione non correlandola ai bisogni propri del paese di arrivo.

Un esempio illuminante può essere il tema della libertà di espressione e la sua applicazione nelle biblioteche italiane. È noto che il clima di polarizzazione che caratterizza il discorso politico in molti stati, non solo europei, non facilita la tolleranza e il rispetto delle opinioni altrui, cui dovrebbe ispirarsi il lavoro bibliotecario. Casi di vera e propria censura, di abusi o di interferenza sulle comuni procedure di sviluppo delle collezioni bibliotecarie sono stati segnalati negli Stati Uniti (Stevens 2020), in Svezia (Forslund 2023), in Francia (Kebbee 2004) e in Italia (Nadotti 2018). Durante le elezioni politiche in Canada, la Toronto Public Library diventa normalmente un forum di discussione nel corso del quale si avvicendano i partiti politici sulla base di un codice di condotta fissato dagli organismi direttivi dell’istituzione bibliotecaria (Toronto Public Library, 2018). Questa consuetudine è indicata a giusto titolo come una delle best practices da promuovere all’interno delle biblioteche in linea con il target SDG 16.10 volto a “garantire un pubblico accesso all’informazione e proteggere le libertà fondamentali, in conformità con la legislazione nazionale e con gli accordi internazionali”. Simile ruolo svolgono le biblioteche pubbliche del Nord dell’Europa, dove la stessa legislazione riconosce loro un ruolo di capisaldi nell’esercizio della democrazia. Nelle legislazioni di Norvegia e Finlandia le biblioteche sono, appunto, “punti di incontro e arene per discussioni pubbliche” e promuovono il “dialogo culturale e sociale” (Norway, 2014; Finland, 2016).

Si può ammirare il grado avanzato di sviluppo delle biblioteche di queste aree geografiche nella promozione della libertà di espressione e della partecipazione democratica. È da dubitare, tuttavia, che l’esportazione sic et simpliciter di tale pratica nel nostro paese possa essere tanto fruttuosa quanto lo è in Canada. Ricordiamo innanzitutto che, nel Democracy Index pubblicato dall’Economist Intelligence Unit della rivista The Economist, l’Italia è indicata come “democrazia imperfetta” e figura al 34° posto, in compagnia di Capo Verde e Botswana (Statista, 2024). Lo svolgimento di dibattiti elettorali in biblioteca, con il rischio di forti pressioni politiche sul bibliotecario, potrebbe addirittura sortire l’effetto boomerang di trasformare la biblioteca in cinghia di trasmissione dell’ideologia al potere. La forma più autentica di partecipazione democratica in biblioteca si realizza in Italia invece nelle modalità proprie dei presidi di legalità, attraverso ad esempio le collezioni della rete BILL (Marchi, 2020) e, soprattutto, grazie alle esperienze della Biblioteca “Annalisa Durante” di Forcella o “Dodò Gabriele” di Crotone (SDG 10 e SDGs 16.3 e 16.7).

Infine, il terzo e ultimo approccio trasversale consiste nell’elevare l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile a cornice operativa delle biblioteche, in consonanza con la Raccomandazione del Consiglio d’Europa, allineando le attività bibliotecarie alle politiche pubbliche locali, in genere meglio allineate agli obiettivi dell’Agenda 2030 di quanto non lo sia la politica nazionale (ASVIS, 2024).

Probabilmente la configurazione che meglio rappresenta la posizione italiana negli organismi europei e internazionali è quella definita dallo schema riportato in Figura 1. L’Europa è presente nelle biblioteche europee in modo capillare sotto forma di regolamenti, direttive (come quelle sul copyright) e documenti programmatici quali la Raccomandazione del Consiglio d’Europa e il futuro Rapporto del Gruppo di esperti OMC. In Italia, il modo prioritario in cui l’Europa si manifesta è attraverso il massiccio intervento perequativo nei confronti degli altri paesi realizzato grazie ai Fondi strutturali.

Dal 1929 alla caduta del regime fascista, De Gasperi fu bibliotecario presso la Biblioteca Vaticana (Ardolino, 2024). La metodica da lui seguita come ministro degli Esteri rimane un esempio indiscusso di come dominio dei dati, condivisione degli obiettivi e autorevolezza rappresentino la chiave di volta di ogni politica internazionale, compresa quella europea bibliotecaria.

Figura 1. La posizione italiana negli organismi europei e internazionali

Bibliografia

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