Bibliotecaria, bibliografa e collezionista bibliofila: in memoria di Maria Gioia Tavoni (1939 - 2025)
Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, paolo.tinti@unibo.it
English abstract
The article deals with Maria Gioia Tavoni (1939-2025), main librarian of the Biblioteca Comunale, Faenza, Book and Library Historian at the University of Pisa and Bologna, scholar of handprinted books, paratext and artists’ books, collector and cultural promoter of initiatives related to libraries and books. Since the Seventies in Faenza, dedicated to social and cultural engagement and biblio- graphic heritage events, like library exhibitions and children’s book fairs, to the Pisan and Bologna season, started in 1987 and focused on academic research and on teaching. Tavoni arranged in her lifetime the fate of her own and other people’s libraries, saved from dispersion and intended to be- come bibliographic collections open to the public.
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È dagli oltre quattrocento titoli...
È dagli oltre quattrocento titoli della bibliografia di Maria Gioia Tavoni, nata a Bologna il 31 maggio 1939, che occorre muovere se si intenda ripercorrere le tappe del suo cammino professionale, scientifico e culturale. Laureata a Bologna nella Facoltà di Magistero sotto la guida di Giuseppe Plessi (1917-1990), Maria Gioia Tavoni è stata borsista presso l’Istituto di discipline storiche e giuridiche dell’Alma Mater. Indirizzata dai suoi maestri, in primis da Gina Fasoli (1905-1992), ha frequentato la Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica dell’Archivio di Stato di Parma ed ottenuto il titolo di Archivista di Stato nel 1971.
Vincitrice del concorso bandito dal Comune di Faenza nel 1972, è entrata di ruolo nel gennaio del 1973 in qualità di Direttore – all’epoca indeclinabile – della Biblioteca Comunale, oggi Manfrediana, conduzione che ha tenuto per dieci anni, sino al 1982.
Alla Biblioteca faentina dedicò le proprie energie in una stagione che vide mutare profondamente la natura, le relazioni, il pubblico e i servizi della pubblica lettura nel territorio di riferimento. Sul fronte del rinnovamento degli spazi e dei servizi bibliotecari Tavoni riorganizzò la sala ragazzi ed inaugurò a dicembre 1976 la nuova Emeroteca, trasferita al pianoterra per incontrare i lettori con maggiore facilità. Nel 1982 fu aperta anche in orario serale la Fonoteca, inaugurata solo nel giugno 1984, quando Tavoni aveva lasciato la direzione ad Anna Rosa Gentilini.
Nel 1977 fece restaurare gli arredi storici della cosiddetta “Sala del Settecento”, commissionati nel 1784 dal Comune di Faenza per custodirvi l’archivio della città. Le scansie furono dismesse nel 1922 e recuperate l’anno seguente dal direttore Pietro Zama (1886-1984), che le volle riallestite nell’antica sede della biblioteca nel convento dei Serviti, poi occupato dalla Biblioteca Comunale. Gli scaffali, così risanati, servirono per collocarvi i riordinati fondi costitutivi della Biblioteca, provenienti dalle librarìe delle case religiose soppresse.
Gli anni faentini segnarono il suo impegno per la valorizzazione, la divulgazione e la riscoperta dei fondi storici della Comunale, manoscritti e a stampa, di natura documentaria e libraria. Tavoni rimise mano al catalogo dei pochi incunaboli oggi a Faenza, aggiornando l’Indice di Sante Fiorentini, pubblicato nel 1921.
Con Giuseppe Bertoni, suo punto di riferimento nella Faenza del tempo, preparò per la pubblicazione un rinnovato indice sintetico, compiuto dalla direttrice Gentilini solo nel 1989 e ancora inedito. Il Censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo, promosso dalla «mitica conduzione» di Angela Vinay (1922-1990), all’epoca a guida dell’Istituto centrale per il catalogo unico, Censimento attuato grazie alla collaborazione con le Regioni, in primis la Regione Emilia-Romagna, rappresentò il volano di mostre biennali, di iniziative di studio, di ricerche storiche, artistiche e letterarie. Le cinquecentine furono esposte a Faenza per mostrarle alla cittadinanza; le esibizioni dei corali miniati, latori di significati estetici facili da apprezzare anche da parte di un pubblico non specialistico, rappresentarono soluzioni per restituire alla città «la biblioteca sconosciuta», sino alle direzioni precedenti rivolta soprattutto alla platea degli universitari, degli eruditi e dei cultori di storia patria. Straordinaria fu la mostra dei libri appartenuti alla biblioteca Zauli Naldi, esposti nel settembre 1979 a Palazzo Milzetti, curata da Anna Ottani Cavina. Su questa ed altre iniziative informa il “Notiziario” della Biblioteca Comunale, interrotto nel 1938 e ripubblicato da Tavoni nel 1973, distribuito gratuitamente a tutte le famiglie di Faenza.
La dedizione alla pubblica lettura si espresse nell’apertura delle due biblioteche decentrate, di Reda e di Granarolo, ma anche nell’organizzazione del mercatino di fumetti e libri per ragazzi, venduti in piazza dai giovanissimi lettori della Biblioteca, così come nelle scorribande alla Fiera del Libro per ragazzi di Bologna per portare in Biblioteca i volumi lasciati negli stand dagli editori stranieri, da impiegare in iniziative di promozione della lettura.
L’iniziativa più d’avanguardia fu senza dubbio l’indagine socio-statistica che il Comune di Faenza, su impulso della direzione della biblioteca, affidò a Pierpaolo Donati ed Everardo Minardi, allievi del sociologo Achille Ardigò (1921-2008), allo scopo di comprendere i bisogni di lettura e di formazione culturale dei faentini. Le risultanze della ricerca, avviata nel giugno 1974 e terminata nel luglio 1975, furono consegnate all’Amministrazione Comunale, che le diffuse in due fascicoli in ciclostile. La Parte prima ebbe come titolo proprio Biblioteca Comunale e partecipazione popolare a Faenza e presentò l’esito del questionario compilato da 452 utenti della Biblioteca. Nella Parte seconda, mutata l’Amministrazione di segno politico, sotto al titolo di Biblioteche e servizi culturali a Faenza. Biblioteca Comunale e partecipazione popolare a Faenza, Tavoni lasciava a Minardi il compito di esaminare e misurare i servizi di lettura nel territorio. Ne uscì l’immagine di una biblioteca bisognosa di una radicale metamorfosi da scrigno di tesori librari e documentari a servizio sociale a istituzione della partecipazione popolare.
Così Tavoni racconta gli anni faentini, imperniati sulla nuova politica per i beni culturali, per citare il celebre volume di Andrea Emiliani, sulla cooperazione e sull’azione nella città e nelle sue istituzioni nonché nel più vasto territorio della Regione, e non solo:
Avevo intorno a me volontari, ai quali, insieme con i colleghi, cercavo di offrire possibilità di apprendimento specialistico, valutando l’opportunità di addestrarli direttamente con stages mirati, in istituzioni che chiedevano collaborazione. Fu così che la vicedirettrice faentina, l’indimenticabile Anna Rosa Gentilini [...] fu incaricata di seguire una nostra stagista nel riordino dell’antico archivio comunale di Pieve di Cento, dove si svolse un certosino lavoro propedeutico al suo completamento con una cooperativa culturale.
Tavoni non trascurò il tema della formazione e il rapporto con le scuole e con gli studenti, negli anni dei decreti delegati e dell’avvento di una istituzione scolastica più moderna, dotata di biblioteche e di programmi di promozione della lettura affidati a insegnanti preparati e motivati, in contatto diretto con le altre organizzazioni della lettura cittadine. Progettò corsi serali riservati agli studenti delle 150 ore, impegnati in età adulta a colmare le lacune del loro percorso scolastico, con il sostegno della Biblioteca, non di scuole private, come avviene oggi. La cooperazione fu elemento strutturale di quel decennio, di cui il Servizio Bibliotecario Nazionale fu emblema. Proprio dalla Romagna infatti muoveva la trasformazione del sistema italiano di biblioteche in vero e proprio servizio operato con strumenti “meccanico-elettronici”, allora in rapida espansione. In Romagna la cosiddetta “automazione” bibliotecaria fu avviata nel 1980, su impulso delle quattro maggiori biblioteche di Romagna – fra cui la Manfrediana – e sfociò nel 1986 nell’apertura a Ravenna della prima unità operativa della rete SBN in Italia.
Il distillato del laboratorio faentino confluì nel volume Le biblioteche minori, scritto a quattro mani con Gentilini, dove si prospettavano le competenze catalografiche necessarie al bibliotecario di pubblica lettura, senza risparmiargli la storia del panorama bibliotecario italiano, unita a nozioni di base sul coordinamento delle istituzioni culturali operanti su un medesimo territorio, in primis quelle scolastico-educative.
In parallelo all’impiego presso la Comunale faentina, Maria Gioia Tavoni ha continuato a fungere da assistente alla cattedra di Paleografia di Plessi ma anche a perfezionare la propria formazione connessa alla ricerca: nel 1973 ha seguito presso l’Istituto Internazionale di storia economica “F. Datini” di Prato il Corso superiore di storia economica medievale, coordinato da Federigo Melis. Dall’anno accademico 1977-78 all’anno accademico 1981-82 ha tenuto l’insegnamento di Biblioteconomia e Bibliografia nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa, dove è divenuta Professore associato nel 1982, con afferenza al Dipartimento di Storia moderna e contemporanea di Piazza Torricelli. Il primo novembre dello stesso anno ha lasciato la direzione della Comunale faentina.
Trasferita nel 1987 alla Facoltà di Magistero di Bologna, dove facevano lezione i suoi mentori e nuovi maestri quali Ezio Raimondi o Mario Saccenti, nella sua città ha insegnato Archivistica, Storia del libro e delle biblioteche, Biblioteconomia e Bibliografia con afferenza al Dipartimento di Italianistica. Fino all’anno accademico 1989-90 ha continuato a ricoprire a Pisa la supplenza di Biblioteconomia e Bibliografia nella Facoltà di Lettere. Tra gli ultimi docenti a lasciare Magistero, trasformatosi nel 1995 nella Facoltà di Scienze della formazione, è passata alla Facoltà di Lettere; dal 1996 assunse la titolarità delle materie del libro anche nella neonata Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, sorta a Ravenna.
Dal 2001 tenne il corso di Storia della stampa e dell’editoria nel Master in editoria cartacea e multimediale, diretto da Umberto Eco presso la Scuola superiore di studi umanistici di Bologna. Dal 2002 è divenuta Professore ordinario – indeclinabile anche a quell’epoca – nel settore di Archivistica Bibliografia e Biblioteconomia. Fino al 2009, data di uscita dai ruoli universitari che la videro prima professoressa ordinaria delle Scienze del libro e del documento ad aver percorso anche la carriera di bibliotecaria, lo studio e la ricerca, nonché la didattica, assorbirono le sue energie migliori. I suoi studi e le sue lezioni, presentate a Bologna, in Italia e all’estero, spaziarono in amplissimi settori della Storia del libro e della Storia delle biblioteche, con attenzione ai secoli dell’età moderna e al Novecento. Maria Gioia Tavoni non insegnò né praticò mai una ricerca scientifica avulsa dalla materialità dei libri, dei documenti o delle altre espressioni in cui la creatività umana ebbe a manifestarsi. Anche quando fu protagonista di pluriennali progetti di ricerca, come quelli sul paratesto o sull’editoria del Settecento, coordinati da Marco Santoro della Sapienza di Roma, a Bologna furono organizzate due memorabili mostre, costruite a partire dai fondi e basate sulla collaborazione con bibliotecari e bibliotecarie della Biblioteca Universitaria di Bologna. Ebbe sempre presente, fra i suoi venticinque lettori, gli esponenti del mestiere delle biblioteche: non a caso uno fra i suoi ultimi contributi è stata la recensione al catalogo storico di Marsilio, apparsa in “Biblioteche oggi” nel marzo 2023, a meno di un anno dalla sua scomparsa. Il quarto di secolo trascorso nell’Università le ha concesso il privilegio di frequentare moltissimi archivi e biblioteche, in cui trascorreva ore e giornate liete, spesso fuori Bologna, anche all’estero: dalla Bibliothèque Nationale di Parigi, prima e dopo Tolbiac, all’Universitaria di Salamanca o alla Nacional di Madrid; dall’Estense di Modena alla British Library di Londra; dalla Herzog August Bibliothek di Wolfenbüttel alle amatissime biblioteche della Costa Azzurra che frequentava nelle vacanze natalizie con il marito. Tante erano le biblioteche italiane da lei visitate e studiate, che le fu chiesto di stendere la voce Italie, bibliothèques nel Dictionnaire encyclopédique du Livre. Convinta della necessità che la professione comportasse l’aggiornamento costante sul fronte della componente tecnica e tecnologica, ineludibile corollario all’operatività nelle biblioteche, Maria Gioia Tavoni sapeva che la conoscenza dei fondi storici e dell’attualità culturale doveva essere parte integrante dell’azione di chi lavora in biblioteca, soprattutto nel contesto italiano, caratterizzato in molti casi dalla compresenza di raccolte antiche e di risorse destinate alla pubblica lettura. Per questo riteneva naturale coinvolgere bibliotecari e bibliotecari in progetti di ricerca, chiamandoli a collaborare a volumi, a convegni nazionali e internazionali, a iniziative di studio e di approfondimento. E molti suoi allievi bibliotecari, quali ad esempio Alessandra Palombo, Susanna Corrieri, Federica Rossi, Franco Pasti, Federico Olmi, Livia Castelli e Anna Bernabé, hanno proseguito anche nello studio il loro percorso professionale, pubblicando saggi e monografie sui temi incontrati sin dai banchi dell’Università.
L’amore per il libro e per le biblioteche ha portato Maria Gioia Tavoni a curare con scrupolosa attenzione e prudenza la destinazione pubblica o l’alienazione di intere biblioteche o collezioni bibliografiche da lei apprezzate o addirittura da lei stessa create. In veste di responsabile scientifico della Biblioteca del Dipartimento di Filologia classica e Italianistica dell’Università di Bologna volle che i libri di Piero Camporesi (1926-1997) entrassero nelle raccolte dipartimentali; operò perché la biblioteca di lavoro del professor Aldo Berselli (1916-2006), docente di Storia contemporanea a Bologna e suo consorte, finisse nella Biblioteca Comunale di Pieve di Cento, luogo natale dello storico; destinò in donazione la propria biblioteca e il proprio archivio professionali alla Biblioteca dipartimentale bolognese, oggi Biblioteca Umanistica Raimondi; donò i propri libri sui vetri alla Biblioteca pievese, perché alla Pinacoteca comunale, oggi intitolata a Graziano Campanini, erano giunti in regalo i suoi vetri déco; vendette nel 2020 alla medesima Raimondi i propri libri antichi a stampa, nel 2022 alla Biblioteca Poletti di Modena la sua collezione di libri d’artista, all’antica, di editoria manuale e di microeditoria.
Proprio il campo del libro d’artista, inteso in senso ecumenico come atto creativo fra arte e tecnica, rappresentò il settore più percorso nell’ultimo, operosissimo, decennio di iniziative scientifiche e culturali, intrapreso con la pubblicazione della Guida per bibliofili affamati, scritta con l’allieva Barbara Sghiavetta. Fu Maria Gioia Tavoni a organizzare il primo Forum italiano dei professionisti del settore, tenutosi a Gubbio nel 2015; fondò il Concorso internazionale libro d’artista di Torrita di Siena; si dedicò a studi specialistici, che in parte saziarono la più grande delle sue passioni: “studiare per cercare di capire”.
È prematuro valutare la dimensione di una Maestra degli studi del libro e delle biblioteche che, dentro e fuori dall’Università, nelle biblioteche anzitutto, ma anche nei musei, nelle gallerie, negli archivi, nelle librerie e in molti luoghi di cultura ha impresso una traccia indelebile. Semmai chi ha raccolto l’eredità di saperi e di sentire così profonda, e non sono in pochi ad aver avuto tale privilegio, si impegnerà a portarne avanti il ricordo e le piste di ricerca, attraverso le sue innumerevoli testimonianze, scritte direttamente o raccolte dalla sua mano, che teniamo ancora ben stretta.